Ho letto alcune testimonianze dal libro ' Le Voci del Mal d'Amore' che lei, dott. Cavaliere, ha raccolto e pubblicato.
Non ho trovato molte similitudini con le storie raccontate. Sembrano tutte più drammatiche e dolorose delle mia. A confronto sembra che mi lamenti senza motivo.
Trovo invece punti di contatto con le parole che vengono utilizzate per esternare il "dolore", per dare forma al senso di vuoto nel quale anch'io mi perdo.
Quelle parole evocano in me sensazioni spiacevoli; è un dolore che nasce dalla comprensione empatica di quelle storie. Quelle testimonianze mettono in subbuglio sensazioni che nel tempo si sono stratificate. Evocano sensazioni spiacevoli non risolte, che fanno parte della impalcatura che mi ha tenuto piedi fino ad oggi. Un' impalcatura che sento però spesso vacillare e mi spaventa.
Mentre leggevo sentivo la sofferenza aumentare anche se la ragione mi dice che non c'è motivo veramente oggettivo.
In quelle storie c'è l' abbandono...io non sono stata abbandonata...anzi!
Mio marito in diverse occasioni, quando ero decisa e convinta ad andar via ha fatto in modo che io desistessi. Io però non so se il suo "cambiare " repentino, in quei frangenti, è stato dettato dal fatto che il suo bisogno di trattenermi ha messo in moto i suoi sentimenti e le azioni erano consequenziali, oppure è stata solo una "strategia". Questo non potrò mai saperlo! So solo che i cambiamenti sono stati repentini ma reversibili.
So solo che non sono andata via...e non so neppure per quale motivo.
Lui non mi abbandona e non mi lascia andar via! Da qui la sensazione ricorrente di sentirmi in trappola. Non mi sostiene e non mi consegna a me stessa. Resto in stand by. Sempre più consapevole ma sempre più immobile.
Ma perché non vado via:
per paura della solitudine, per amore verso i figli, per convenzione sociale,per amor suo?
Qual'è la scala dei miei valori?
Qual 'è il motore delle mie decisioni:
la dedizione o la vigliaccheria?
Per il passato ho quasi sperato che lui commettesse qualcosa di grave per recidere questa sorta di cordone ombelicale che mi lega a lui.
E così a furia di pensare a tutto ed a tutti gli aspetti ed elementi,nulla è sufficiente a spingermi a recidere quel cordone che mi da vita e mi nega libertà.
Libertà di ascoltare me stessa...i miei bisogni, le mie aspirazioni, la mia voglia di gioire ancora, di emozionarmi ancora. Libertà di osare, rischiare, misurare me stessa.
Io non penso mai a me stessa; i bisogni e le aspettative del mondo che mi circonda sono sempre prioritari. Non resta tempo per ascoltarmi, c'è sempre qualcosa di cui occuparmi.
Quando mi abbandono ai miei pensieri, al mio naufragare senza meta nell'universo senza limiti di ciò che penso....mi sento al contempo in colpa. Avrei dovuto rassettare la casa, andare da mia madre che è sola e con tanti problemi, andare a far la spesa o preparare un pranzo meno frettoloso.
Il tempo che ho dedicato ai miei pensieri diventa una colpa; vado dal parrucchiere o a comprare un vestito solo quando è indispensabile. E' cosi facile rinunciare. C'è chi dice che sono pigra!
Ma cosa pensano di me, quando non assolvo ai miei doveri(quello che penso si aspettino da me)? che sono una figlia ingrata (dopo tutto quello che mia madre ha fatto per me e da sola), una madre egoista( i miei figli sono incontentabili ), una moglie inadeguata? Se mio marito cerca oltre me vuol dire che non basto? Se non si apre a me pensa che non passa comprendere o possa approfittare delle sue debolezze per renderlo subalterno a me?
Il risultato di questi i pensieri azzera anche il piacere che avevo avuto nel mettermi in contatto con me stessa...e produce come effetto l' ansia. Cosa devo fare...cosa fare prima, che priorità dare.
Chi sono e chi dovrei essere?
Per uscire da questo vortice mi viene un unico desiderio. vorrei essere di nuovo una bambina e perdermi in un caldo abbraccio consolatorio...anche se sinceramente, non ricordo di averne ricevuti di abbracci consolatori. Da nessuno. Nessuno mi ha mai detto: non preoccuparti...ci sono io. Io sentivo e seto solo richiami alla " responsabilità".
Di quando ero bambina adesso mi viene in mente la tristezza che leggevo negli occhi di mia madre e il risentimento che provavo per mio padre che ritenevo responsabile. Lui era responsabile dalla tristezza di mia madre. Già allora non sentivo la mia tristezza, il mio disagio...sentivo quello di mia madre. Ero triste non perché non ero amata da mio padre, ma per non riuscire ad essere abbastanza per alleviare le sofferenze di mia madre.
Non ho rancore ne per mia madre ne per mio padre: loro hanno vissuto con diritto la loro vita, io giustifico la loro assenza e quindi non li ritengo colpevoli.
Tutti hanno giustificazioni che legittimano il loro agire, nulla mi era dovuto. Nessuno deve rinunciare alla propria individualità ed essere condannato per i propri limiti. I limiti non sono colpe.
Ma la mia individualità dov'è? Se riconosco a tutti il diritto sacrosanto a vivere...perché non vedo nel mio agire azioni funzionali a raggiungere la mia felicità? Perché non ho coltivato il mio sé e provato a realizzarlo? Perché ci ho sostanzialmente rinunciato?
Perché attendo passivamente che qualcuno mi veda e si accorga che anch'io esisto? se dovessi definirmi potrei dire che sono come una spugna...che assorbe tutto quello che incontra.
L' unica cosa di buono che vedo in me, è l' impegno. Riesco a non naufragare perché non mi sono ancora arresa...cerco ancora il bandolo di una matassa che è in me e non negli altri. ho ancora la forza di rialzarmi, ma con sempre meno forze ed entusiasmo.
Non passo desistere...devo trovare un equilibrio stabile...lo devo ai miei figli. Se resto irrisolta potrei non essere perdonata dai miei figli. Se la loro infanzia che io condiziono è un' ipoteca sul loro domani, devo essere in grado di fornire loro gli strumenti per pagare il debito. Devo dare loro nutrimento per sopravvivere ai danni che sicuramente procuro.
Le invio queste parole per fermare i miei pensieri ed impedirmi di distruggerli. Dopo il click dell'invio...non è possibile tornare indietro. Io trovo più semplice scrivere che parlare...parlo con la mente e scrivo con la pancia!
Cordiali saluti
Non ho trovato molte similitudini con le storie raccontate. Sembrano tutte più drammatiche e dolorose delle mia. A confronto sembra che mi lamenti senza motivo.
Trovo invece punti di contatto con le parole che vengono utilizzate per esternare il "dolore", per dare forma al senso di vuoto nel quale anch'io mi perdo.
Quelle parole evocano in me sensazioni spiacevoli; è un dolore che nasce dalla comprensione empatica di quelle storie. Quelle testimonianze mettono in subbuglio sensazioni che nel tempo si sono stratificate. Evocano sensazioni spiacevoli non risolte, che fanno parte della impalcatura che mi ha tenuto piedi fino ad oggi. Un' impalcatura che sento però spesso vacillare e mi spaventa.
Mentre leggevo sentivo la sofferenza aumentare anche se la ragione mi dice che non c'è motivo veramente oggettivo.
In quelle storie c'è l' abbandono...io non sono stata abbandonata...anzi!
Mio marito in diverse occasioni, quando ero decisa e convinta ad andar via ha fatto in modo che io desistessi. Io però non so se il suo "cambiare " repentino, in quei frangenti, è stato dettato dal fatto che il suo bisogno di trattenermi ha messo in moto i suoi sentimenti e le azioni erano consequenziali, oppure è stata solo una "strategia". Questo non potrò mai saperlo! So solo che i cambiamenti sono stati repentini ma reversibili.
So solo che non sono andata via...e non so neppure per quale motivo.
Lui non mi abbandona e non mi lascia andar via! Da qui la sensazione ricorrente di sentirmi in trappola. Non mi sostiene e non mi consegna a me stessa. Resto in stand by. Sempre più consapevole ma sempre più immobile.
Ma perché non vado via:
per paura della solitudine, per amore verso i figli, per convenzione sociale,per amor suo?
Qual'è la scala dei miei valori?
Qual 'è il motore delle mie decisioni:
la dedizione o la vigliaccheria?
Per il passato ho quasi sperato che lui commettesse qualcosa di grave per recidere questa sorta di cordone ombelicale che mi lega a lui.
E così a furia di pensare a tutto ed a tutti gli aspetti ed elementi,nulla è sufficiente a spingermi a recidere quel cordone che mi da vita e mi nega libertà.
Libertà di ascoltare me stessa...i miei bisogni, le mie aspirazioni, la mia voglia di gioire ancora, di emozionarmi ancora. Libertà di osare, rischiare, misurare me stessa.
Io non penso mai a me stessa; i bisogni e le aspettative del mondo che mi circonda sono sempre prioritari. Non resta tempo per ascoltarmi, c'è sempre qualcosa di cui occuparmi.
Quando mi abbandono ai miei pensieri, al mio naufragare senza meta nell'universo senza limiti di ciò che penso....mi sento al contempo in colpa. Avrei dovuto rassettare la casa, andare da mia madre che è sola e con tanti problemi, andare a far la spesa o preparare un pranzo meno frettoloso.
Il tempo che ho dedicato ai miei pensieri diventa una colpa; vado dal parrucchiere o a comprare un vestito solo quando è indispensabile. E' cosi facile rinunciare. C'è chi dice che sono pigra!
Ma cosa pensano di me, quando non assolvo ai miei doveri(quello che penso si aspettino da me)? che sono una figlia ingrata (dopo tutto quello che mia madre ha fatto per me e da sola), una madre egoista( i miei figli sono incontentabili ), una moglie inadeguata? Se mio marito cerca oltre me vuol dire che non basto? Se non si apre a me pensa che non passa comprendere o possa approfittare delle sue debolezze per renderlo subalterno a me?
Il risultato di questi i pensieri azzera anche il piacere che avevo avuto nel mettermi in contatto con me stessa...e produce come effetto l' ansia. Cosa devo fare...cosa fare prima, che priorità dare.
Chi sono e chi dovrei essere?
Per uscire da questo vortice mi viene un unico desiderio. vorrei essere di nuovo una bambina e perdermi in un caldo abbraccio consolatorio...anche se sinceramente, non ricordo di averne ricevuti di abbracci consolatori. Da nessuno. Nessuno mi ha mai detto: non preoccuparti...ci sono io. Io sentivo e seto solo richiami alla " responsabilità".
Di quando ero bambina adesso mi viene in mente la tristezza che leggevo negli occhi di mia madre e il risentimento che provavo per mio padre che ritenevo responsabile. Lui era responsabile dalla tristezza di mia madre. Già allora non sentivo la mia tristezza, il mio disagio...sentivo quello di mia madre. Ero triste non perché non ero amata da mio padre, ma per non riuscire ad essere abbastanza per alleviare le sofferenze di mia madre.
Non ho rancore ne per mia madre ne per mio padre: loro hanno vissuto con diritto la loro vita, io giustifico la loro assenza e quindi non li ritengo colpevoli.
Tutti hanno giustificazioni che legittimano il loro agire, nulla mi era dovuto. Nessuno deve rinunciare alla propria individualità ed essere condannato per i propri limiti. I limiti non sono colpe.
Ma la mia individualità dov'è? Se riconosco a tutti il diritto sacrosanto a vivere...perché non vedo nel mio agire azioni funzionali a raggiungere la mia felicità? Perché non ho coltivato il mio sé e provato a realizzarlo? Perché ci ho sostanzialmente rinunciato?
Perché attendo passivamente che qualcuno mi veda e si accorga che anch'io esisto? se dovessi definirmi potrei dire che sono come una spugna...che assorbe tutto quello che incontra.
L' unica cosa di buono che vedo in me, è l' impegno. Riesco a non naufragare perché non mi sono ancora arresa...cerco ancora il bandolo di una matassa che è in me e non negli altri. ho ancora la forza di rialzarmi, ma con sempre meno forze ed entusiasmo.
Non passo desistere...devo trovare un equilibrio stabile...lo devo ai miei figli. Se resto irrisolta potrei non essere perdonata dai miei figli. Se la loro infanzia che io condiziono è un' ipoteca sul loro domani, devo essere in grado di fornire loro gli strumenti per pagare il debito. Devo dare loro nutrimento per sopravvivere ai danni che sicuramente procuro.
Le invio queste parole per fermare i miei pensieri ed impedirmi di distruggerli. Dopo il click dell'invio...non è possibile tornare indietro. Io trovo più semplice scrivere che parlare...parlo con la mente e scrivo con la pancia!
Cordiali saluti