mercoledì, dicembre 14, 2011

IL DOLORE DELLA FINE DI UN AMORE

Traveller Età: 45
Vengo qui da mesi, ho trovato questo sito non per caso ma per necessità, e abbastanza facilmente, perché il dolore quando è così forte fa da faro e ti spinge nella direzione giusta, verso chi come te non sa come uscirne fuori. E' una luce artificiale quella del dolore, più che illuminare acceca. Comunque grazie a tutti per aver pubblicato le vostre testimonianze, perché di sicuro fanno sentire meno soli. E grazie al dottor Cavaliere che domani mi riceverà per un colloquio.
Ho conosciuto il mio compagno all'uscita di un tunnel per entrambi; per dirvi, come quelli della Salerno Reggio Calabria che alla fine ti viene da tirare un sospiro di sollievo: io uscivo da una nevrosi che solo oggi credo di poter chiamare così, all'epoca non lo sapevo, e da un fidanzamento logoro con un ragazzo depresso e ipocondriaco che sì avevo amato tantissimo, ma che ormai si era fermato e mi frenava, mentre io sentivo immensa davanti a me la strada che avrei percorso e che mi avrebbe portato lontano. E così è stato. Quando poi ho conosciuto lui. Uno splendido americano bello come il sole, gentile, generoso, sensuale, fanciullo, misterioso e soprattutto inconsapevole di questa sua bellezza. Inconsapevolezza che dalle sue parti già chiamavano venti anni fa 'mancanza di autostima'. Io una cosa del genere non sapevo manco cosa fosse, ricordo che dopo qualche prima avvisaglia mi misi a cercare in biblioteca, in libreria, sui dizionari, cos'era questa autostima latente che ogni tanto gli levava la parola, la luce negli occhi, la voglia di fare e di farmi? Per me c'era la vita, vibrante, succosa, immensa che mi aspettava e ci aspettava: bastava incamminarsi insieme e andare a coglierci i frutti che aspettavano solo noi. Troppo semplice invece, o forse troppo presuntuoso e tutto questo, tutto quello che ho avuto lo sto pagando a caro prezzo, perché oggi dopo vent'anni, e più di una bancarotta alle spalle che avrebbe dovuto darmi l'allerta, mi ritrovo messa peggio del crac finanziario che ha colpito i mercati qualche anno fa e che ora ci sta dando il colpo di grazia a tutti. Maledetti americani e maledetti mercati selvaggi, viene da dire, ma in realtà tutti quelli che hanno investito, tutti noi lo abbiamo sempre saputo quali rischi si correvano.
Io anche lo sapevo, io che sempre corro perché ho sempre paura di perdere i primi posti, mi sono incamminata lo stesso con lui, ho deciso di investire.
Avevo 25 anni e lui 5 di più, e soprattutto non aveva catene, in fuga da un mondo, proiettato verso un altrove, e quell'altrove sarei stata io, io e il mio bel paese. La prima cosa di lui che mi ha conquistata è stata proprio la voglia di andare, il coraggio di imboccare una via di fuga, il desiderio di scoperta, lo stesso che hai quando sei piccolo e poi chissà come ti viene sottratto e non ti senti più invincibile, allora cerchi con fatica di riconquistarlo, e quando un giorno sul tuo cammino individui la persona che ha in mano la chiave per aprire quel vecchio tesoro, cosa fai? Chiedi informazioni in giro? E a chi? A Freud?! Agli specialisti del maldamore? Come si fa, dico io … Mi fermo per piangere e soffiarmi il naso. Su questo punto mi areno sempre. Non riesco a darmi una colpa, a farmene una ragione. Non ci riesco. Potrei leggere  (e l'ho fatto) centinaia di saggi, testi di psicoanalisi, psicologia, spiritualità new age e new tutto, potrei rivolgermi a dio in persona, oltre ai tanti terapisti consultati, pur di far scaturire un'altra me che possa far piazza pulita del passato, ma non ci riesco.
Da cosa fuggisse ancora non lo so, forse da un brutto passato fatto di poco affetto, di superficialità di rapporti, di inconsistenza, di squallore suburbano, quello che insieme avremmo (ri)scoperto nei nostri successivi viaggi in America. Io in America! Io che col vecchio fidanzato mi ero ridotta a non riuscire più a prendere un treno, ecco che dopo un anno di gioie e non pochi tormenti volavo insieme a lui. Lui che più trovavo speciale e invincuìibile, più era come se gli facessi dispetto. Come regalare fiori a qualcuno che li butta dalla finestra per via del polline che gli dà allergia (era anche molto allergico). Spesso mi sono sentita una forzatura per lui, non so perché. Forse mi succede per default, chi lo sa? Eppure io con lui so di aver ritrovato un pezzo di me che sembrava perduto. Forse proprio in quei cieli sopra l\'Atlantico, non so. Cieli che già da tempo con lui avevo toccato con un dito: nella nostra alcova, nei tanti luoghi romantici, nelle scoperte, nelle sensazioni così nuove e vibranti, nel cibo, nei film, era come aprire le stanze di un giardino dell’Eden infinito ma anche proibito, carico di frutti maturi e appetitosi ma faticosi da raggiungere. Perché ogni volta era come infrangere qualcosa, forzare la mano, imporre a fatica un progetto: un figlio, una casa, un viaggio. La sua autostima si spegnava, si deformava fino a lasciarlo preda di depressioni e paralisi mentale e psichica di cui mi sono con l\'aiuto degli altri convinta di essere responsabile. Più io vivevo e facevo e sognavo, più lui scivolava nel baratro. Lui è di quelli che si lascia vivere, si lascia decidere, si lascia fare, disfare; non diceva mai di no, non obiettava mai nulla, non dialogava, non ribatteva, sempre gentile, sempre col sorriso, e io sempre più sola nella realtà che mi costruivo da me, che facevo e disfacevo, e alla fine tutto si è disfatto, quanto credevo di aver costruito con passione e amore, non mi è rimasto in mano nulla. E adesso ci sono macerie ovunque e l’eco di una voce che ti dice che devi andare avanti da sola, Tu hai così tanto da dare, sei piena di vita e passione, ma io no, e tu capisci alla fine che tutto quello che avevi investito, tutto quell’amore, tutti i tesori che ti sei arrampicata fino al gradino più alto per andare a prendere per lui, ti accorgi che di tutto quello non è rimasto nulla. Solo un enorme contenitore vuoto. Vuoto, già, perché – pensa un po’ – era bucato. Un contenitore bucato che più tu cercavi di riempire, più il vuoto risuonava della solita frase di sempre : Non so cosa dirti, non so cosa fare..
Se la nostra unione fisica era qualcosa di veramente speciale, le nostre anime, le nostre menti, le nostre visioni del mondo, dell’esistenza non collimavano mai. Ogni cosa che dicevo sembrava sempre una perdita di tempo, tu la dicevi, la commentavi, ma non c\'era mai un rimbalzo al ragionamento, allo stupore, alla rabbia, alla gioia. Ogni cosa vissuta spariva avvolta dal silenzio, ogni crisi finiva in pasto alla sua ignavia, ogni esperienza durava per un tempo piatto senza profondità. Senza un fondo sul quale l’amore si potesse sedimentare e reggere gli schianti che la vita ha sempre in serbo per noi.
Se ami qualcuno non lo devi cambiare. Ecco un altro punto su cui mi areno ancora. Non credo che spingere qualcuno a cogliere e gustare appieno i frutti della vita sia quel peccato mortale di cui tanti oggi parlano.
Eppure la colpa è la mia e lo so. Me la sento addosso come un puzzo insopportabile. So di aver continuato a investire quando il rischio era altissimo.
Ma lui, maledetto americano dal fondo perduto e bucato, perché? Perché mi ha lasciato andare alla rovina?
Ho letto nel forum che un amore che finisce è un amore che non era mai iniziato. Quando ci penso mi sembra di impazzire e quasi mi confondo e penso che forse è stata tutta una farsa, un sogno assurdo e solo ora mi sono svegliata. Poi guardo le mail, ritrovo le mille cose e ricordi dei 20 anni passati insieme, guardo nostra figlia, mi dispero, cerco risposte, invoco la Ragione di darmi il giusto antidoto, poi ricado nella solita trappola, perché qualunque tentativo su questa strada mi riporta inevitabilmente a lui. Anche domani, all'appuntamento con lei Dott . Cavaliere, io lo so, il leggero sollievo che provo già in anticipo è commisto al piacere di poter venire a parlare di lui.
Se ami qualcuno non lo devi cambiare. D'accordo. Ma quel qualcuno perché allora resta a guardarti indifferente mentre ti spezzi le unghie provando e riprovando le mille chiavi che ti possano portare al centro del suo cuore?
Dopo 20 anni di convivenza ci eravamo sposati per poter rimanere nel suo paese, ho pensato, ritroverà se stesso laggiù, gli affetti, gli amici, i legami col territorio e la lingua. Ci siamo sposati su un ponte un anno fa, a New Orleans, l'idea mia come sempre, e tutto il resto, amici , cerimonia, poesie…

L'alluvione in Liguria dei giorni scorsi si è portata via case, macchine e anche il Ponte sul Magra, dove milioni di volte siamo passati io e lui, la prima, una sera di agosto di venti anni fa. Settimana scorsa il ponte è crollato, e ieri una forza misteriosa mi ha spinta a andare a vedere. Un'mmagine terribile. Un ponte spezzato. Una comunicazione interrotta. La morte di un sentimento che solo io piango a lutto.
Caro Dottor Cavaliere, io spero che lei riesca a smascherare i miei tentativi subdoli e infantili di rimanere sulla stessa strada logora dove c'è rischio di crolli continui, quella sì che bisogna cambiare. Io ce la metterò tutta.
Tanti auguri a tutti.

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