giovedì, febbraio 15, 2007

NATA CON IL CUORE IN UNA MANO


Di seguito è pubblicato il primo capitolo del prossimo nuovo romanzo di Francesco Bova 'NATA CON IL CUORE IN MANO'. La tematica di fondo è quella del "mal d'amore" e fin da questo primo capitolo sono rintracciabili diverse significative riflessioni su argomenti trattati dal sito.

Francesco Bova

Nata con il cuore in una mano…..
ovvero la bambina del mal d’amore

La baracca dei fenomeni umani
Milano, via Solferino 28
10 dicembre 1997


Con il cuore in una mano.
E’ nata con il cuore chiuso nella sua mano destra.
Quando alle venti di giovedì 10 dicembre Giovanni Antonicelli legge l’agenzia della Reuters di Londra corruccia la fronte.
Una bambina è venuta alla luce in India, in un piccolo ospedale dello Stato di Chhattinsgarh, non strillando come fanno tutti i neonati, ma stringendo fra le dita della piccola mano un cuore pulsante.
Dopo le ventitre si chiude il giornale ma c’è ancora spazio nelle pagine di cronaca straniera e quella news di una nascita così singolare ci sta tutta. L’ingombro di una cartella e mezza, forse. Non più di quarantacinque righe di una colonna di taglio medio.
Secondo il dispaccio di agenzia la bambina è nata con un cuore esterno completamente sviluppato, collegato agli organi interni con le arterie e le vene. Deve essere operata subito e i medici di quel piccolo ospedale indiano hanno fatto un appello internazionale per raccogliere il denaro occorrente a sostenere i costi dell’intervento chirurgico.
La sua famiglia è povera e quella bambina, di cui non si conosce il nome, è nata in uno stato lontano che evoca il mistero. Ci sono tutti gli ingredienti – miseria, arcano, esotismo, forse anche il peccato - per rendere quell’evento una notizia che stupisca il lettore.
Il titolo? Non è così importante, pensa Giovanni. Non è necessario essere molto creativi per titolare un evento così particolare.
Il suo primo capo, quando lui era un praticante al Corriere di Informazione, gli diceva che un buon titolo è già metà del pezzo. Ma in questo caso l’argomento è chiaro e netto. Non c’è da inventarsi nulla per dare dignità di notizia a quell’evento così mostruoso e, allo stesso tempo, delicato. Sarebbe bastato intitolare che un esserino umano è nato con un cuore esterno. Un paradosso della natura. Un nonsenso biologico. Un incidente durante la moltiplicazione delle cellule embrionali, come a volte succede con i gemelli siamesi.
Nel suo archivio Giovanni aveva riposto da qualche anno una vecchia cartella con ritagli di giornali, vecchie fotografie e appunti di ricerche storiche e di costume sulla baracca dei fenomeni, quella specie di circo del signor Barnum dove fino alla prima metà del Novecento si esponevano al pubblico esseri umani con grottesche anomalie fisiche. Lui, su quel luna park del dolore, aveva scritto un lungo articolo quando negli anni Ottanta aveva recensito il film The Elephant Man di David Linch.
Poi, dalla redazione della cultura era passato alla redazione degli esteri e, così, aveva stipato quella cartella nel fondo dell’archivio.
Giovanni apre il terzo cassetto dell’archivio - l’ultimo dove appunto ripone i fascicoli più vecchi - e prende la cartella con la dicitura Baracca dei fenomeni umani, anno 1980, che contiene alcune pagine del manuale di Antropologia di G. Canestrini e dell’Histoiries générale et particulière des anomalies di Geoffroy de Saint-Hilare.
Nella cartella c’è una scheda su Tod Browning, straordinario e maledetto regista americano del cinema degli anni Trenta che aveva filmato deliranti storie d’amore tra esseri deformi e fatto recitare nani lillipuziani, una donna senza braccia, le gemelle siamesi Daisy e Violet Hilton, un autentico uomo tronco e un rarissimo uomo verme.
Riconosce alcuni fogli a quadretti di un notes, vergati con la sua calligrafia, pieni di citazioni a matita e con alcuni scarabocchi che potevano rappresentare delle forme quasi umane, simili ad esseri mitologici. Qualcosa tra la divinità di un angelo, la bellezza di una sirena e il corpo di una bestia.
Sparsa tra i fogli c’è un’ immaginetta consunta del Sacro Cuore di Gesù. Era stato il pensiero di una suora - sorella Felicitas – di Villa Fatima, una pensioncina religiosa dove lui prendeva camera per arrotondare quando andava in trasferta a Roma.
All’interno c’è pure una vecchia fotografia in bianco e nero della redazione. Lui era seduto alla scrivania con le maniche di camicia arrotolate sui gomiti e con la cravatta allentata. Al suo fianco c’era Margherita Bellatesta– che tutti chiamavano Fiorellino per via del corpo minuto –, alla sinistra Francesco Filippetti che si occupava di cinema e di teatro e, sullo sfondo, Alessandra Camellini che curava le recensioni librarie e infine Luca Bernardi, che poi lasciò il giornale per diventare uno scrittore.
In posa c’era anche Antonia Modignani, con i capelli neri tagliati a caschetto, appoggiata con entrambi i gomiti sulle sue spalle.
Al tempo di quello scatto, anzi di un autoscatto con una vecchia fotocamera russa, erano fidanzati da qualche mese.
Si erano messi insieme, alla fine di un rigido inverno milanese, dopo una notte passata a discutere dell’intensa e travolgente storia d’amore tra Hannah Arendt e Martin Heidegger, con lei che gli diceva che le donne amano solo una volta - rimarcando con gravità che solo una volta contiene in sé il germe dell’unicità e dell’assoluto – e lui di rimando le ribadiva che, invece, una storia d’amore è relativa come lo è il tempo per Einstein.
Toccando quella foto, passando l’indice sul viso di Antonia, Giovanni si ricorda di quelle schermaglie e di ciò che le disse per sbalordirla quando quella prima volta sostenne che una storia d’amore ha il suo tempo e il suo spazio ed il sentimento amoroso è per gli amanti come l’universo che è finito nonostante continui ad espandersi.
Qualche mese dopo sotto il faro dell’isolotto di Linosa, tra i fichi d’india e le piante di capperi, si erano giurati un amore eterno e assoluto. Estremo e senza misure, perché Antonia gli confutava la sua singolare teoria della relatività tra gli amanti, affermando che l’amore è sconfinato. Dunque, è per definizione infinito.
L’amore – aveva affermato convinta, con il viso infuocato dal sole africano - non si può misurare con le formule matematiche e geometriche della mente, né pesare su una bilancia o tanto meno contare la sua durata con la marcia di un orologio, perché l’amore è incomprensibile come lo sono lo spazio ed il tempo infinito.
Giovanni sorride per quel lungo e scivoloso pensiero e, rigirando tra le dita quella fotografia, si schernisce pensando che quell’immagine di loro così giovani e belli è stata archiviata nella cartella dei deformi, tra coloro che il mondo giudica con orrore e con pietà esseri umani anormali.
Ma era stato lui stesso ad inserire beffardamente, con il sentimento doloroso dell’ironia, la fotografia della redazione nel fascicolo intitolato ai mostri. Anzi, sul retro della foto aveva scritto con perizia una didascalia: XX° secolo, dagherrotipo riproducente un gruppo umano di tenebrosi e sventurati giovani!
E poi aveva aggiunto FREAKS !, quasi volesse con quella parola inglese dal suono duro, vergata a caratteri in stampatello, compiere uno sfregio sui loro volti sorridenti.
Erano tutti sui trent’anni, solo Fiorellino era una ragazzina. E lui prima di prendersi Antonia si era preso anche Margherita Bellatesta. Anzi, per alcuni mesi aveva fatto la spola tra le case delle due donne, lasciando la sua impronta di maschio e il suo peso di uomo di successo sui loro materassi.
Ora Fiorellino Bellatesta ha due figli grandi, non lavora più al giornale, e non è più una ragazza minuta. Ha i fianchi larghi e veste come una donna di mezz’età, con le gonne sotto il ginocchio e le scarpe quadrate e grosse.
Antonia, invece, dopo il loro matrimonio ha sempre lo stesso caschetto nero. Non sembra invecchiata. E’ la stessa ragazza di allora, anche se sul suo volto c’è un’ombra di inquietudine che la trasfigura. Un segno dell’età, forse. O piuttosto una piccola febbre dell’anima che fuoriesce dagli occhi come una piccola lacrima che trattenuta dalle ciglia stenta a cadere.
E’ una goccia – ha sempre pensato Giovanni – di un fiume che non riesce a rompere gli argini. Bello e minaccioso come lo è la piena di un torrente quando la si osserva da un ponte correre impetuosa verso il mare o perdersi nelle acque più accoglienti di un grande fiume.
Se quella lacrima dovesse cadere, il fiume esonderebbe facendo crollare gli argini, sommergendo la mia stessa vita, pensa Giovanni ripassando l’indice sul volto di Antonia.
Di quel gruppo di tenebrosi sventurati giovani, solo Antonia è rimasta alla pagina della cultura, anche se da tempo viaggia per l’Europa e per alcuni mesi all’anno vive a Parigi, ospite della cantante Cecilia Herrera.
Francesco Filippetti, invece, ha preso un’altra strada che è quella dell’approfondimento politico e fa la spola tra Milano e Roma. Tra via Solferino e Piazza Montecitorio. E’ pure stato il portavoce di un ministro, ma poi ha preferito non legarsi troppo. Anche lui ha sempre sostenuto l’audace teoria che per amare il mondo non è necessario amare qualcuno in particolare. Come Silone è un socialista senza partito e un cristiano senza chiesa.
“Sono un fraticello della sinistra e la mia castità è dentro il cuore” gli aveva detto una volta, sorridendo con una punta di dileggio, quasi volesse rimproverarlo per i suoi innamoramenti da borghese romantico. Quel postulato lo ha applicato sia alla politica che all’amore e, così, non ha famiglia: né una moglie, né un figlio, né un partito.
Antonia, Luca, Alessandra – che ora dirige un magazine femminile -Francesco e Fiorellino stanno bene in compagnia dei mostri, medita con cinismo Giovanni, sorridendo a mezza bocca.
Si accende una sigaretta, prima di rimettere quella fotografia nella cartella. E poi c’è anche lui in primo piano nel fuoco di quell’immagine di vent’anni prima. Al centro della scena, con Antonia appoggiata con i gomiti sulle sue spalle, con in faccia l’espressione di una che desiderava fare l’amore e con Margherita fiorellino che li spiava sospettando l’irreparabile.
In calce, sull’interno della cartella, c’è un numero di telefono, con un’annotazione: richiamare!
Chissà se aveva richiamato quel numero?
A quel numero doveva corrispondere una voce. Un uomo o una donna? Un amico o una fidanzata? Un collega o un personaggio che forse aveva intervistato? Un regista, uno scrittore o un teatrante?
E’ tentato di comporre quel numero. Anzi, ha digitato la prima sequenza. Poi, s’interrompe al pensiero di chiamare qualcuno che forse non esiste più. Qualcuno che è invecchiato, cambiando il timbro della voce. Sarebbe stato come telefonare ad un estraneo.
Gli fa un certo effetto, quando scorre le pagine della rubrica telefonica, vedere stampato il nome di qualcuno che non c’è più e che la burocrazia delle società dei telefoni rende immortale.
Per sopravvivere alla morte sarebbe bastata l’intestazione di un contratto che per comodità o per disattenzione non è stato registrato con il nome del nuovo utente. Questo accade spesso tra le coppie, quando uno dei due s’infagotta per l’ultima destinazione.
Quel nome in stampatello rimane come un tatuaggio sulla pelle dell’altro. In qualche modo quella piccola omissione è paradossalmente il segno di una presenza, spesso ingombrante.
Ecco, questo è un esempio di mostruosità, pensa Giovanni, da catalogare nella baracca dei fenomeni.
Giovanni, ritornando con la mente sul pezzo della bambina indiana, cerca tra i ritagli di giornale una fotografia dei più famosi gemelli di quella fenomenologia del grottesco e del dolore. Si ricorda di aver ritagliato da un settimanale americano l’immagine che riproduceva un cartellone del circo Barnum con la foto dei più famosi gemelli siamesi - di nome Bunker - per pubblicizzare la loro esposizione. Eccola !
Chang – Sinistro – ed Eng – Destro – suscitano ancor oggi, dopo quasi due secoli, grande stupore per la loro esistenza.
Giovanni, come ha fatto con la foto della redazione, passa l’indice destro su quell’immagine come se quello sfregamento gli consentisse di rinnovare una emozione del passato: quella che aveva provato quando vide per la prima volta la foto di due uomini, non più giovanissimi, con le fattezze asiatiche del viso e i capelli grigi, che indossavano due giacche nere di buon taglio, due panciotti e due distinte camicie bianche con il colletto arrotondato e solo in parte abbottonate per via di un brandello di carne che all’altezza della pancia univa i due corpi.
Quella figura era simile a quella di due carte da gioco sovrapposte, a due fanti fusi nel tronco.
Erano rimasti uniti fino all’età di 62 anni. Si erano sposati con due sorelle di un villaggio del North Carolina e avevano avuto anche un grande numero di figli.
Nel 1811 in Siam, come nel resto del mondo, la chirurgia non sarebbe stata capace di separare, senza comprometterne la vita, ciò che beffardamente la natura aveva unito con una striscia di cartilagine, simile ad un cordone non più largo di quattro dita che univa le due pance e che conteneva i lembi dei loro stomaci.
Poi, per così dire, tutto l’altro era normale. Quattro braccia, quattro gambe, due teste e due cuori. Così erano i loro corpi e così sono stati riprodotti, dopo la loro morte, in un calco di gesso conservato presso un museo della città di Philadelphia
I due gemelli, esibiti come se fossero stati un unico uomo e una sola anima, possedevano invece due distinte personalità.
All’epoca qualcuno aveva descritto Chang il sinistro come un uomo estroverso, rispetto al silenzioso e riservato fratello Eng. La loro esistenza deve essere stata terribile e bizzarra, pensa Giovanni, ma straordinariamente complessa e delicata deve essere stata la loro relazione.
Erano in quattro a fare l’amore? O, probabilmente, in tre? Per la banale ragione che sarebbe stato difficile trovare una diversa posizione per accoppiarsi e fare tutti quei figli.
Chang o Eng, uno dei due, avrebbe solo voltato la testa e chiuso gli occhi, trattenendo il respiro, quando l’altro si accoppiava con la moglie, che era la sorella di sua moglie.
Quale paradosso doveva essere stato quello di dover dividere le proprie mogli sorelle – Adelaide e Sarah – a causa di quell’unione gemellare così sgradita. Chissà se la passione dell’uno contaminava l’altro, come la febbre quando nell’attaccare un fratello, inevitabilmente li colpiva entrambi.
Il destino li aveva costretti a prendersi cura ognuno dell'altro, senza alcuna condizione se non quella di dover rinunciare alla propria vita. Se Eng si ammalava, Chang vestiva i panni dell’infermiere. Se il Sinistro si immalinconiva per una pena d’amore o per via di un dubbio sull’esistenza di Dio, era il Destro che dipanava la matassa dell’esistenza, contagiando di risate il fratello.
Sarà capitato anche a loro però un bisticcio, pensa Giovanni, mentre stampa l’agenzia della bambina indiana nata con il cuore in una mano. Un piccolo alterco per una cosa banale. Una baruffa come accade tra fratelli o tra fidanzati. Ma un litigio non sarebbe degenerato in una violenza fisica. Non si sarebbero mai presi a ceffoni o pestato violentemente i piedi per timore che il dolore dell’uno si propagasse sulla pelle dell’altro.
Ed ancora più pesante deve essere stato quello di contenere il rancore, di serbare all’interno di quella sola pancia il desiderio di uccidere l’altro.
Sarà anche accaduto – medita Giovanni - che non si rivolgessero per giorni la parola, loro che fin dalla nascita si coricavano ogni notte nello stesso letto e che insieme da sempre erano destati dalla prima luce dell’alba e dalle preghiere delle genti Thai.
Pur condividendo ogni frammento del tempo, la pioggia ed il clima umido della foresta, Chang ed Eng – il Sinistro e il Destro – si ignoravano, dissimulando un’estraneità goffa ed ipocrita, come se la mano destra non sapesse ciò che la sinistra aveva compiuto.
L’indifferenza, in quei momenti, deve essere stata la loro pena più grande, costretti a digerire nella sacca del loro unico stomaco il cibo deglutito da due distinte bocche.
Se una coppia di amanti bisticcia e non sopporta più la presenza dell’altro, uno dei due può sbattere la porta. Se due amici si accapigliano per la stessa donna, uno dei due può uccidere l’altro. Un abbandono e un omicidio sono come una ferita che divide la carne. La fuga ed il delitto ci separano, ci dividono dal mondo.
Da quella parte del mondo rappresentata dall’altro, pensa Giovanni, con un pezzo della testa rivolto al ricordo dei gemelli siamesi e l’altro pezzo abbacinato dalla bambina nata con il cuore in una mano.
L’indifferenza tra due che sono stati per lungo tempo amanti spesso brucia più che uno schiaffo, ma diluita nel tempo allontana e separa.
Un pensiero sfrigolante come la capocchia di un cerino si accende sulla sua relazione con Antonia, che da una settimana non dà notizie dal suo rifugio di Parigi.
Giovanni avverte l’odore di zolfo e il bruciore intenso del suo pollice e del suo indice, come se realmente avesse tenuto tra le dita uno di quei minuscoli fiammiferi con il gambo di cera.
Ma l’indifferenza tra Chang ed Eng paradossalmente rendeva ancora più salda quell’unione. Quella striscia di cartilagine era la loro prigione. Quel pezzo d’osso e di fibre di carne era un anello nuziale. Qualcosa di indissolubile, in assenza però del segno di una benedizione come accade con una coppia di sposi.
Antonia se lo era sposato, trascinandolo in una chiesetta del pavese con l’affresco di una Madonna che teneva in grembo spighe di granoturco.
“Dio vi ha uniti e solo Dio vi separerà”
aveva officiato il vecchio parroco amico della famiglia di Antonia. Aggiungendo:
“Io vi benedico: con questo segno voi accettate di prendervi cura l’uno dell'altro. Per sempre. Nella gioia e nel dolore. Neppure la morte vi scioglierà da questa promessa”.
Se avessero potuto i due gemelli siamesi, commentò in cuor suo Giovanni, sarebbero fuggiti uno a Nord verso la Birmania e l’altro a Sud ai confini della Cambogia. In mezzo la foresta pluviale e le piantagioni di mangrovia sarebbero stati un confine che separa. La sicurezza, nel bene e nel male, contro il pericolo di una nuova invasione affettiva.
“L’amante invade con le sue armate di baci e di parole il corpo indifeso dell’amato” gli aveva sussurrato una sera Antonia, con un tono acido sciogliendosi da un abbraccio.
Per un’altra coppia la separazione poteva significare invece una nuova vita, ma per loro, a quel tempo, non c’era un bisturi così affilato da recidere le carni senza causarne la morte.
Forse questo era stato il loro desiderio più grande e anche più osceno, quando in cuor loro, durante un bisticcio, si auguravano che una spada li dividesse e che uno dei due rendesse l’anima agli dei del fiume Chao Phrya.
Era Chang, il sinistro, che improvvisamente si ammutoliva, lui che era il più brillante. Si incupiva e bastava un nonnulla per farlo adirare, ma la sua collera non lo rendeva paonazzo e volgare: gli scivolava dentro inzuppandogli l’anima. Se poi qualcuno avesse schiacciato quell’unica pancia, da entrambe le bocche dei gemelli sarebbe uscita acqua. Così anche Eng soffriva per quell’indigestione di liquido animoso.
Il malanimo, qualcuno gli aveva raccontato – anzi qualcuno aveva raccontato ad entrambi, perché a loro non era permesso il dono di una confidenza, di qualcosa sussurrato in un orecchio – il malanimo, dunque, è come l’acqua marcia di uno stagno che macchia la pelle di un incauto nuotatore.
Quando questo accadeva Eng cercava di ascoltare il cuore del fratello, contando i battiti e la variazione delle frequenze. Come un sensore registrava il movimento delle forze che internamente scuotevano il proprio gemello, lasciandogli però sul viso una rigida maschera senza alcuna emozione.
Quando questo accadeva Chang diventava un pezzo di carne fredda e pesante che Eng, come un fardello, doveva trasportare.
Quale paradosso, poi, è soffrire la solitudine nonostante la drammatica presenza dell’altro, pensa Giovanni contando sulle dita il numero di giorni passato senza avere alcuna notizia di Antonia.
Si tocca i fianchi. Anzi, si alza un lembo della camicia e si passa le mani dai fianchi verso il ventre, come se cercasse una escrescenza simile a quella dei gemelli. Ironicamente si domanda, nel caso lo avesse avvertito, se quel ponte di carne che lo tiene legato ad Antonia è presente sul suo fianco destro o piuttosto sul quello sinistro.
A quale fianco di Antonia? - che forse a quell’ora è in qualche bistrò di Boul’Mich – Boulevard St-Michel - con Cecilia Herrera a bere vino bianco gelato prima di cenare con la compagnia di qualche uomo, di un possibile amante con le dita affilate come quelle di un bisturi.
Se lei avesse fatto l’amore con un altro sarebbero stati comunque in tre a fare l’amore, come era accaduto a Chang ed Eng.
Lui, Giovanni, sarebbe stato costretto a voltare la testa e a chiudere
gli occhi, trattenendo il respiro, sapendo in quel preciso istante che sua moglie si sta accoppiando con un altro uomo.
Sta immaginando la scena con lei nuda, gettata sul letto e con la frangia del caschetto spettinata. Nella penombra di quel piccolo appartamento di rue St. Pauvre dentro il Quartiere Latino il suo amante le sta baciando i piccoli seni.
Chissà se si accorgerà, quando la stringerà per i fianchi, facendola ruotare su se stesso, di quella escrescenza, di quel ponte di carne - gettato tra Milano e Parigi - che ancora la unisce al fianco di suo marito?
Avrà quell’amante avvertito – mentre la solleva - che il peso di Antonia è il doppio di quel corpo che stringe?
Si sarà domandato perché quel corpo di donna così esile sprofonda sul materasso?
Nota a margine del “Trattato sul mal d’amore” estratto dall’archivio di un postulatore del Cinquecento.
L’amante occupa con le sue armate di baci e di parole il corpo dell’amato.Dimmi:“Chi è, tra l’amante e l’amato, l’invasore?”. Rispondimi:“Chi dei due è sottomesso e diventa colonia dell’altro?”.


Francesco Bova


Per informazioni sull'autore vedi blog http://francescobova.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1366320

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