DELL’AMORE
Quando finisce un amore o quando un legame viene reciso, la prima vera domanda che ci balena nella mente, quando la delusione non è più fresca è: ma sarà stato amore? Ma l’amore esiste?
Io me lo sono chiesto e la terza domanda che mi sono posta è stata: che cos’è l’amore per me? Ho dovuto analizzare, non solo cosa ne sapevo io, ma che cosa ne pensano le figure importanti della mia famiglia, quello che volontariamente o involontariamente mi hanno insegnato cosa fosse.
Sono nata in una generazione (tra il 1960 e il 1970) che è stata la prima a dover vivere la perdita di quelle certezze sui ruoli maschile e femminile. La rivoluzione femminile del 1968, che ci aveva preceduto, aveva seminato un po’ alla rinfusa, i principi per porre la donna all’interno della società civile, come destinataria di pari diritti; una dimensione della donna, che la ponesse, non più come compagna di qualcuno, madre di qualcuno, ma soggetto capace di autodeterminarsi Non più qualificate come “femmine” (quasi ad indicarne una possibile mancanza) della specie, ma persone, impedendo così alla connotazione sessuale di discriminarci, così come era da sempre accaduto.
La vera lotta sulla parità sessuale e sull’integrazione sociale della donna è iniziata sul campo, nella vita vera, con le nostre vite. Abbiamo vissuto da figlie, i drammi dei primi divorzi; abbiamo sopportato il tentativo di marchiarci come “poco serie” (per dire poco) solo perché facevamo sesso con i nostri coetanei e non lo nascondevamo. Siamo cresciute sotto due spinte controverse: da una parte essere le brave ragazze che mamma e papà, l’oratorio e la società volevano fossimo (basterebbe dare un’occhiata alla pubblicità degli anni 80); dall’altra donne che riscattassero le proprie madri con lo studio e il lavoro, per dimostrare al mondo di poter pretendere secondo i nostri desideri, donne che non vogliono essere scelte, ma scegliere.
E abbiamo provato ad essere tutto: donne secondo la nostra natura e maschi secondo la volontà del costume che cambiava. Ma non si possono cambiare le regole del gioco delle relazioni, soltanto per un solo fronte, tutti e due i fronti dovrebbero cambiare armoniosamente.
I nostri coetanei maschi sono usciti sviliti da questa lotta e in fondo, rimpiangono i benefici dei loro padri. Sono cambiati nella superficie, ma non nella sostanza. Hanno saputo però, sfruttare al meglio il cambiamento, alimentando la competizione e la mancanza di solidarietà delle donne. Le nostre nuove sicurezze e la nostra forza, li hanno fatti sentire inadeguati, e in larga parte autorizzati a esonerarsi di ogni responsabilità affettiva. Nel bene e nel male la mia generazione di donne ha racchiuso in sé ogni ordine di eccessi.
Attorno a me sento gente d’ogni sesso, affermare di cercare l’amore. Mi sono andata a cercare libri, riviste, definizioni psicologiche e poetiche su questo sentimento, a cui ognuno dà una connotazione: vaga, personale, evanescente, clinica. La prima risposta che mi sono data è che non esiste un solo tipo di amore, ve ne sono un infinità e che ad ogni particolare tipo corrisponde una motivazione. Quindi per deduzione se voglio trovare “amore”, la prima cosa che devo chiedermi è: perché? Mi spiego meglio, lo voglio: per combattere la solitudine? Per formare una famiglia? Per farmi sorreggere nei momenti di crisi? Per cambiare la mia vita? Per sentirmi protetta e rassicurata? Riuscire a darsi una risposta secondo me, già vuol dire aver preso coscienza di un bisogno urgente e inderogabile di noi stessi. Ma purtroppo non è così facile rispondere. Qualcuno di voi dirà che è per tutti i motivi suesposti, ma è davvero così?
A venti anni quando mi sono innamorata per la prima volta, io non avevo nessuna voglia di pensare di farmi una famiglia, né di pensare che il ragazzo di cui ero innamorata fosse il mio compagno per la vita. Non ci volevo pensare, avevo altre urgenze. Quando durava da un po’ di anni sono stati gli altri a costringermi a pensarci anche se poi non mi aiutavano a chiarirmi. Il messaggio inconscio era: il tempo di percorrenza rispondeva dell’affidabilità del rapporto. Ma non mi bastava; tanto è che ad un certo punto cercai in ogni modo di ottenere cose che chiaramente l’altro non era pronto a darmi, non mi aveva scelto con quell’intento. L’intento a venti anni era di vivere l’emozione, accompagnarsi con qualcuno che ci renda più facile crescere, che ci metta al riparo dalla vita, dalle delusioni. Inconsapevolmente, ci eravamo scelti per questo entrambi. E qui ho scoperto un’altra cosa, la reciprocità. Non è possibile provare alcunché per chi non sente altrettanto per noi, l’altro o noi possiamo non esserne consapevoli o non accettarlo (e a meno che non si tratti di un sentimento malato, nato nei sogni e lontano dal nostro mondo) e quindi decidere di non vederlo o di non corrisponderlo; ma la corrente dell’energia e le sensazioni sono reciproche tra le persone.
Rispondere anche ad una sola domanda sul perché si voglia l’amore, non è facile, vi è la necessità di avere un buon rapporto con se stessi, saper tirar fuori anche quello che teniamo nascosto a noi stessi.
Nella vita pratica le domande avvengono nell’inconscio e noi facciamo le scelte che solo più tardi ci spiegheremo (sempre che lo vogliamo).
Ecco perché, anche come ci è stato insegnato ad amare, è molto importante e la dice lunga su ciò che ci aspettiamo da questo sentimento. Spesso ciò che cerchiamo è un sentimento rassicurante che ci ricordi l’affetto esclusivo della madre o meritorio del padre. Ed è anche per questo che la nostra storia affettiva d’origine ha molta importanza e spiega il nostro modo di amare e di essere amati. Le instabilità affettive hanno origine dal modo in cui abbiamo digerito più o meno il modo in cui siamo stati amati nell’infanzia. Se ci siamo sentiti amati e se abbiamo accettato il modus amandi dei nostri genitori, sapremo trovare il nostro modo per amare e sentirci amati.
Un altro fattore di incidenza è la storia socio-culturale della società occidentale. Fino a tutto l’ottocento e inizi novecento, l’amore è sempre stato considerato un fattore impeditivo di una relazione stabile; considerato alla stregua di una momentanea debolezza, una passione che distrugge, più che costruire. L’amore (in qualunque accezione fosse inteso) non era essenziale, la cosa essenziale era la stabilità economica e la morale e le unioni erano decise in base alla convenienza e a un minimo di conoscenza.
Ancora oggi, nonostante spesso ci illudiamo di costruire delle unioni sull’amore, spesso sono unioni di “convenienza” nel senso che entrambi i partner convengono che la persona che scelgono è il male minore oppure, si sceglie secondo l’istinto del momento, la passione. Tendiamo cioè a dare spazio: o alla razionalità o all’emotività; praticamente è come dividere la nostra anima o mente a metà, perché ragione e sentimento non dovrebbero essere in antitesi ma coniugarsi tra loro per avere un equilibrio psichico.
Generalizzando, se chiediamo ad uomini e donne che cos’è l’amore risponderanno: la passione che stravolge la vita ed i sensi, facendo fare quelle scelte che razionalmente non si compierebbero; oppure il sentimento, la concretezza, l’affidabilità, la tenerezza, la stima. Praticamente non vi è una sostanziale differenza tra la componente maschile e femminile, la vera differenza sono i fattori psicologici, le conditio personali del pregresso affettivo che fanno prediligere la scelta razionale piuttosto che quella emozionale.
L’unica vera differenza tra uomini e donne, a parte l’aspetto fisiologico, è la comunicazione: le donne utilizzano e sfruttano l’analisi; gli uomini utilizzano la sintesi. Tenere presente questa differenza significa poter comunicare con l’altro sesso in un linguaggio che gli sia comprensibile. Ad es. se devo comunicare con un uomo e sono una donna: devo imparare a parlare con lui in modo sintetico e chiaro, senza utilizzare sottintesi e senza aspettarmi che lui capisca quello che io non dico esplicitamente, anzi sforzarmi di essere esplicita; se sono un uomo devo prevenire i retro-pensieri che assillano una donna, chiarendo che se sto affermando qualcosa non gli sto dando connotazioni diverse da quelle che appaiono, cercando di spiegarsi in modo chiaro ed efficace. Dovremmo sempre metterci nei panni dell’altro.
Ora che sento di sapere un po’ più di cose sull’amore in generale, la domanda è: ma quando l’incontrerò? In ogni momento si può incontrare qualcuno che potrebbe essere vicino a noi per esperienze, affinità e fisicamente compatibile, ma spesso siamo noi che non siamo pronti a donare noi stessi in una relazione.
Nella mia esperienza personale, posso dire che capita più spesso di quanto non ci sembri, di incontrare chi potrebbe essere il partner giusto per noi, ma siamo così obnubilati dalle paure e dai condizionamenti che spesso non riusciamo a vederlo.
Nella vita di una persona ci sono diversi tipi di condizionamenti: quelli legati all’infanzia, al clima affettivo familiare; quelli dovuti ad esperienze di fallimento affettivo dell’età adulta. Tanto più grande è stata la non accettazione di qualcosa che ci è stato negato o che abbiamo perso, tanto più facciamo fatica a lasciarci andare ad un nuovo amore.
Non riusciamo a prenderci il tempo per digerire qualcosa che ci ha fatto male, l’io non riesce ad essere obiettivo (né con il passato né con il presente) quindi, invece di imparare dall’esperienza, tendiamo a sostituire, così come facciamo con le cose materiali e ad accumulare il dolore da qualche parte nell’inconscio. E spesso facciamo pagare a chi si mette sulla nostra strada il dolore che ci portiamo dietro.
Interrompere questa catena di sofferenza è, secondo me, il primo passo verso un chiarimento in se stessi.
La conclusione a cui sono arrivata è che nessuno può rispondere su che cosa sia l’amore, senza dare una propria intima opinione acclarata dalla propria esperienza.
Non esiste una definizione obiettiva dell’amore, così come di ogni altro sentimento, qualcuno in un aforisma diceva:
“L’amore chiede solo di essere sentito e amato”.
Ognuno sente e prova secondo la propria capacità e predisposizione, anche se questa capacità è chiaro che può e dovrebbe essere alimentata. Perciò nessuno è in grado di stabilire se ciò che per me è valido può esserlo anche per un altro, l’importante è, secondo me, che l’amore (per qualunque persona lo proviamo e per qualsiasi motivazione personale) sia accrescimento e non diminuzione: capacità di donare per la gioia che il dono ha in sé e non per ciò che vorremmo e capacità di saper accettare-ricevere il tipo d’amore che ci viene reciprocamente donato.
Quando finisce un amore o quando un legame viene reciso, la prima vera domanda che ci balena nella mente, quando la delusione non è più fresca è: ma sarà stato amore? Ma l’amore esiste?
Io me lo sono chiesto e la terza domanda che mi sono posta è stata: che cos’è l’amore per me? Ho dovuto analizzare, non solo cosa ne sapevo io, ma che cosa ne pensano le figure importanti della mia famiglia, quello che volontariamente o involontariamente mi hanno insegnato cosa fosse.
Sono nata in una generazione (tra il 1960 e il 1970) che è stata la prima a dover vivere la perdita di quelle certezze sui ruoli maschile e femminile. La rivoluzione femminile del 1968, che ci aveva preceduto, aveva seminato un po’ alla rinfusa, i principi per porre la donna all’interno della società civile, come destinataria di pari diritti; una dimensione della donna, che la ponesse, non più come compagna di qualcuno, madre di qualcuno, ma soggetto capace di autodeterminarsi Non più qualificate come “femmine” (quasi ad indicarne una possibile mancanza) della specie, ma persone, impedendo così alla connotazione sessuale di discriminarci, così come era da sempre accaduto.
La vera lotta sulla parità sessuale e sull’integrazione sociale della donna è iniziata sul campo, nella vita vera, con le nostre vite. Abbiamo vissuto da figlie, i drammi dei primi divorzi; abbiamo sopportato il tentativo di marchiarci come “poco serie” (per dire poco) solo perché facevamo sesso con i nostri coetanei e non lo nascondevamo. Siamo cresciute sotto due spinte controverse: da una parte essere le brave ragazze che mamma e papà, l’oratorio e la società volevano fossimo (basterebbe dare un’occhiata alla pubblicità degli anni 80); dall’altra donne che riscattassero le proprie madri con lo studio e il lavoro, per dimostrare al mondo di poter pretendere secondo i nostri desideri, donne che non vogliono essere scelte, ma scegliere.
E abbiamo provato ad essere tutto: donne secondo la nostra natura e maschi secondo la volontà del costume che cambiava. Ma non si possono cambiare le regole del gioco delle relazioni, soltanto per un solo fronte, tutti e due i fronti dovrebbero cambiare armoniosamente.
I nostri coetanei maschi sono usciti sviliti da questa lotta e in fondo, rimpiangono i benefici dei loro padri. Sono cambiati nella superficie, ma non nella sostanza. Hanno saputo però, sfruttare al meglio il cambiamento, alimentando la competizione e la mancanza di solidarietà delle donne. Le nostre nuove sicurezze e la nostra forza, li hanno fatti sentire inadeguati, e in larga parte autorizzati a esonerarsi di ogni responsabilità affettiva. Nel bene e nel male la mia generazione di donne ha racchiuso in sé ogni ordine di eccessi.
Attorno a me sento gente d’ogni sesso, affermare di cercare l’amore. Mi sono andata a cercare libri, riviste, definizioni psicologiche e poetiche su questo sentimento, a cui ognuno dà una connotazione: vaga, personale, evanescente, clinica. La prima risposta che mi sono data è che non esiste un solo tipo di amore, ve ne sono un infinità e che ad ogni particolare tipo corrisponde una motivazione. Quindi per deduzione se voglio trovare “amore”, la prima cosa che devo chiedermi è: perché? Mi spiego meglio, lo voglio: per combattere la solitudine? Per formare una famiglia? Per farmi sorreggere nei momenti di crisi? Per cambiare la mia vita? Per sentirmi protetta e rassicurata? Riuscire a darsi una risposta secondo me, già vuol dire aver preso coscienza di un bisogno urgente e inderogabile di noi stessi. Ma purtroppo non è così facile rispondere. Qualcuno di voi dirà che è per tutti i motivi suesposti, ma è davvero così?
A venti anni quando mi sono innamorata per la prima volta, io non avevo nessuna voglia di pensare di farmi una famiglia, né di pensare che il ragazzo di cui ero innamorata fosse il mio compagno per la vita. Non ci volevo pensare, avevo altre urgenze. Quando durava da un po’ di anni sono stati gli altri a costringermi a pensarci anche se poi non mi aiutavano a chiarirmi. Il messaggio inconscio era: il tempo di percorrenza rispondeva dell’affidabilità del rapporto. Ma non mi bastava; tanto è che ad un certo punto cercai in ogni modo di ottenere cose che chiaramente l’altro non era pronto a darmi, non mi aveva scelto con quell’intento. L’intento a venti anni era di vivere l’emozione, accompagnarsi con qualcuno che ci renda più facile crescere, che ci metta al riparo dalla vita, dalle delusioni. Inconsapevolmente, ci eravamo scelti per questo entrambi. E qui ho scoperto un’altra cosa, la reciprocità. Non è possibile provare alcunché per chi non sente altrettanto per noi, l’altro o noi possiamo non esserne consapevoli o non accettarlo (e a meno che non si tratti di un sentimento malato, nato nei sogni e lontano dal nostro mondo) e quindi decidere di non vederlo o di non corrisponderlo; ma la corrente dell’energia e le sensazioni sono reciproche tra le persone.
Rispondere anche ad una sola domanda sul perché si voglia l’amore, non è facile, vi è la necessità di avere un buon rapporto con se stessi, saper tirar fuori anche quello che teniamo nascosto a noi stessi.
Nella vita pratica le domande avvengono nell’inconscio e noi facciamo le scelte che solo più tardi ci spiegheremo (sempre che lo vogliamo).
Ecco perché, anche come ci è stato insegnato ad amare, è molto importante e la dice lunga su ciò che ci aspettiamo da questo sentimento. Spesso ciò che cerchiamo è un sentimento rassicurante che ci ricordi l’affetto esclusivo della madre o meritorio del padre. Ed è anche per questo che la nostra storia affettiva d’origine ha molta importanza e spiega il nostro modo di amare e di essere amati. Le instabilità affettive hanno origine dal modo in cui abbiamo digerito più o meno il modo in cui siamo stati amati nell’infanzia. Se ci siamo sentiti amati e se abbiamo accettato il modus amandi dei nostri genitori, sapremo trovare il nostro modo per amare e sentirci amati.
Un altro fattore di incidenza è la storia socio-culturale della società occidentale. Fino a tutto l’ottocento e inizi novecento, l’amore è sempre stato considerato un fattore impeditivo di una relazione stabile; considerato alla stregua di una momentanea debolezza, una passione che distrugge, più che costruire. L’amore (in qualunque accezione fosse inteso) non era essenziale, la cosa essenziale era la stabilità economica e la morale e le unioni erano decise in base alla convenienza e a un minimo di conoscenza.
Ancora oggi, nonostante spesso ci illudiamo di costruire delle unioni sull’amore, spesso sono unioni di “convenienza” nel senso che entrambi i partner convengono che la persona che scelgono è il male minore oppure, si sceglie secondo l’istinto del momento, la passione. Tendiamo cioè a dare spazio: o alla razionalità o all’emotività; praticamente è come dividere la nostra anima o mente a metà, perché ragione e sentimento non dovrebbero essere in antitesi ma coniugarsi tra loro per avere un equilibrio psichico.
Generalizzando, se chiediamo ad uomini e donne che cos’è l’amore risponderanno: la passione che stravolge la vita ed i sensi, facendo fare quelle scelte che razionalmente non si compierebbero; oppure il sentimento, la concretezza, l’affidabilità, la tenerezza, la stima. Praticamente non vi è una sostanziale differenza tra la componente maschile e femminile, la vera differenza sono i fattori psicologici, le conditio personali del pregresso affettivo che fanno prediligere la scelta razionale piuttosto che quella emozionale.
L’unica vera differenza tra uomini e donne, a parte l’aspetto fisiologico, è la comunicazione: le donne utilizzano e sfruttano l’analisi; gli uomini utilizzano la sintesi. Tenere presente questa differenza significa poter comunicare con l’altro sesso in un linguaggio che gli sia comprensibile. Ad es. se devo comunicare con un uomo e sono una donna: devo imparare a parlare con lui in modo sintetico e chiaro, senza utilizzare sottintesi e senza aspettarmi che lui capisca quello che io non dico esplicitamente, anzi sforzarmi di essere esplicita; se sono un uomo devo prevenire i retro-pensieri che assillano una donna, chiarendo che se sto affermando qualcosa non gli sto dando connotazioni diverse da quelle che appaiono, cercando di spiegarsi in modo chiaro ed efficace. Dovremmo sempre metterci nei panni dell’altro.
Ora che sento di sapere un po’ più di cose sull’amore in generale, la domanda è: ma quando l’incontrerò? In ogni momento si può incontrare qualcuno che potrebbe essere vicino a noi per esperienze, affinità e fisicamente compatibile, ma spesso siamo noi che non siamo pronti a donare noi stessi in una relazione.
Nella mia esperienza personale, posso dire che capita più spesso di quanto non ci sembri, di incontrare chi potrebbe essere il partner giusto per noi, ma siamo così obnubilati dalle paure e dai condizionamenti che spesso non riusciamo a vederlo.
Nella vita di una persona ci sono diversi tipi di condizionamenti: quelli legati all’infanzia, al clima affettivo familiare; quelli dovuti ad esperienze di fallimento affettivo dell’età adulta. Tanto più grande è stata la non accettazione di qualcosa che ci è stato negato o che abbiamo perso, tanto più facciamo fatica a lasciarci andare ad un nuovo amore.
Non riusciamo a prenderci il tempo per digerire qualcosa che ci ha fatto male, l’io non riesce ad essere obiettivo (né con il passato né con il presente) quindi, invece di imparare dall’esperienza, tendiamo a sostituire, così come facciamo con le cose materiali e ad accumulare il dolore da qualche parte nell’inconscio. E spesso facciamo pagare a chi si mette sulla nostra strada il dolore che ci portiamo dietro.
Interrompere questa catena di sofferenza è, secondo me, il primo passo verso un chiarimento in se stessi.
La conclusione a cui sono arrivata è che nessuno può rispondere su che cosa sia l’amore, senza dare una propria intima opinione acclarata dalla propria esperienza.
Non esiste una definizione obiettiva dell’amore, così come di ogni altro sentimento, qualcuno in un aforisma diceva:
“L’amore chiede solo di essere sentito e amato”.
Ognuno sente e prova secondo la propria capacità e predisposizione, anche se questa capacità è chiaro che può e dovrebbe essere alimentata. Perciò nessuno è in grado di stabilire se ciò che per me è valido può esserlo anche per un altro, l’importante è, secondo me, che l’amore (per qualunque persona lo proviamo e per qualsiasi motivazione personale) sia accrescimento e non diminuzione: capacità di donare per la gioia che il dono ha in sé e non per ciò che vorremmo e capacità di saper accettare-ricevere il tipo d’amore che ci viene reciprocamente donato.
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